"…Io sono sempre stanco, non dormo mai… deve essere la mia dannazione. Anche ora, per esempio, potrei andare avanti tutta la notte…"
Niente come una notte senza sonno può alimentare pensieri angoscianti e fatica esistenziale, e nessun romanzo descrive bene questa stato emotivo come "La casa del sonno" di Jonathan Coe, da cui è stata estrapolata la frase sopra.
Come spesso accade, proprio i canali meno accademici ci portano informazioni importanti per riflettere e comprendere meglio fenomeni appartenenti all'universo umano. L'arte e la letteratura da sempre funzionano non solo da mediazione ma anche promotore rispetto a processi conoscitivi ed esplicativi importanti. Così un semplice romanzo può racchiudere in sé l'essenza di un aspetto, quello della mancanza di un sonno sufficientemente riposante, veramente critico per le persone che lo vivono. Chi legge "La casa del sonno", così come chi ha visto "L'uomo senza sonno" di John Carpenter, percepisce le sensazioni, i sentimenti e i vissuti emotivi di chi vive l'esperienza drammatica dei disturbi del sonno.
Non dobbiamo confondere l'insonne con quelle persone che tecnicamente chiamiamo "corto-dormitori" ovvero chi ottiene il riposo sufficiente grazie ad un numero di ore molto minore della media. Al di là della soggettività, esiste purtroppo una dimensione fortemente patologica legata al sonno e in particolare alla mancanza involontaria del riposo notturno.
La psiche è totalmente coinvolta in questo processo, sia come origine o parte scatenante, sia come parte lesa di conseguenza. Fin troppo facile intuire che l'insonnia è sempre un segnale di un problema a livello organismico, un sintomo che sottolinea in maniera inconfondibile la rottura dell'equilibrio della persona e che va raccolto come aspetto da indagare, approfondire e comprendere non solo a livello superficiale ma profondo.
L'approccio più semplice, quello che cerca un rimedio "tampone" è sicuramente quello che vede nel farmaco "ipnoinducente" la soluzione efficace ed immediata: non che questo non sia utile, anzi, a volte l'intervento farmacologico è essenziale perchè rappresenta la stampella che permette di rimettersi in piedi, ma non ci si può limitare a questo.
Gli elementi emotivi che accompagnano questa esperienza sono fondamentalmente due: l'ansia e la depressione. Ci sono persone che vivono il passaggio delicato che va dalla veglia al sonno con un concentrato di pensieri ansiogeni e angoscianti che non permettono l'entrata nelle fasi più profonde, e quindi più riposanti. Il risultato è un addormentamento discontinuo e superficiale che dà la sensazione di stanchezza e stress.
Anche la depressione può essere causa dell'insonnia: stati melanconici importanti possono portare ad un ipersonnia di "chiusura" ma anche all'esatto contrario, ovvero ad un assenza di sonno regolare che porta ad una spossatezza psicologica che può diventare cronica.
In tutti i casi affrontare l'insonnia significa dover risolvere un vero dramma per la persona: molto spesso in ambito clinico ci troviamo a scoprire che disturbi del sonno sono legati a traumi ascrivibili alla storia del paziente, eventi tragici avvenuti nella fanciullezza e mai affrontati né elaborati, che nelle fasi successive si ripresentano portando con sé una dose massiccia di angoscia profonda.
Questa quindi diventa la "dannazione" a cui accenna J. Coe e che è facilmente comprensibile per tutti coloro che hanno vissuto l'esperienza anche solo di una notte in bianco. Ed è soltanto attraverso una prospettiva olistica che si può riflettere seriamente sull'argomento. In gioco c'è tutto l'organismo che ha perso uno degli aspetti primordiali della sua ciclicità e che, faticosamente, deve tornare ad appropriarsene, riferendosi ad ogni "agenzia" operante nella sua vita.
Banale ma essenziale il fatto che tutto deve essere richiamato all'ordine: lo stile di vita, l'alimentazione, il movimento corporeo, la postura, il respiro, e ogni elemento che ha a che fare con la nostra dimensione psicologica, affettiva ed emotiva. Non è necessario un ordine austero o uno stile di vita ascetico e privi di piaceri, anzi, la dimensione del godere delle cose belle della vita è sicuramente il viatico più sano per ritornare ad un equilibrio esistenziale. Quindi non è la privazione la strada maestra ma la semplicità: cosa c'è di più semplice ed immediato che seguire il ritmo circadiano1 ed adattarsi ad esso? E in fondo è quello che facevano le generazioni dei nostri nonni, svegliarsi all'alba e andare a dormire dopo il tramonto, e che ancora oggi ritroviamo quando ci spostiamo in paesi di altre culture e status socio-economico inferiore al nostro.
Questa non è ovviamente la soluzione ma è il contraltare: sicuramente l'insonne vive una vita complessa come quella di tutti gli esseri umani, ma ulteriormente complicata da un insieme di fattori diversi che lo allontanano dallo stile di vita per cui siamo stati creati. La semplicità quindi può essere un obiettivo, una tendenza per svincolarsi da vite ingarbugliate e affaticate il cui sintomo spesso emerge proprio con la rottura dell'equilibrio più innato e primordiale, il nostro momento di riposo e di ricarica.
"…E' tempo di semplicità, nulla sarebbe più inutile, fuorviante e stonato di complicate elucubrazioni intellettuali…"
Susan Sarandon in "La forza della mente"